Ligabue Magazine 15

18.00

Secondo semestre 1989
Anno VIII

Nell’ottobre del 1982, quando è nato il «Ligabue Magazine», il nostro Editore sapeva benissimo quello che voleva fare e dove voleva arrivare, ma fedele alla tradizionale prudenza politica della Serenissima Repubblica di Venezia, volle che l’inizio avesse carattere sperimentale, affacciandosi quasi sottovoce al mondo della illustrazione scientifica a carattere divulgativo. Avremmo potuto fare nostro l’aforisma di Ippocrate: vita brevis, ars longa, occasio praeceps, experimentum pericolosum, judicium difficile, e così quel primo numero della rivista, di appena sessanta pagine, iniziò il suo cammino partendo con una tiratura di 5.000 copie. Oggi, dopo sette anni, il «Ligabue Magazine» ha raggiunto la tiratura di 100.000 copie.

Incluso nel prezzo anche la versione digitale *

* Le versioni digitali dal n. 1 al 57 sono ottenute da una scansione del Magazine. Potrebbero pertanto presentare delle imperfezioni nella visualizzazione dei testi e delle immagini.

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Il progresso di anno in anno, è stato continuo e sicuro secondo il sempre più vasto consenso dei lettori, eppure mai da queste pagine si è levata voce roboante, e il cielo ci preservi da qualsiasi trionfalismo per il successo di cui diamo qui notizia, sia pure con una certa dose di orgoglio. Orgoglio moderato, raccomandiamo a noi stessi, adelante, Pedro, con juicio, perchè sebbene il nostro entusiasmo non sia affatto scemato, anzi, si è ben rinvigorito, il raziocinio ci impone di perseverare nel tentativo di produrre una rivista della quale si possa dire sempre che l’ultimo numero è migliore del precedente.

Giornali e riviste non sono sinfonie, non sono creazione di un singolo artista, e se il «Ligabue Magazine» è diventato quello che è, sappiamo bene che dobbiamo le nostre fortune al valore dei collaboratori per i testi, le fotografie, i disegni, i documenti, e alla facoltà di attingere idee e materiale nel Centro Studi Ricerche Ligabue, che per noi è paragonabile a un dovizioso pozzo di scienza infusa.

Entrare in questo Centro è come aggirarsi nel paese delle meraviglie e l’unico rischio che si corre è quello di perdersi nel labirinto delle sorprese, lasciandosi sopraffare dalla curiosità  inesausta, per esempio quando si incontra il professar Federico Kauffmann Doig, che ci prende per mano e ci conduce in quella «grande grotta» che si chiama Hatunmachay, sugli altipiani peruviani della Pampa de Lampa.

Si tratta di percorrere sentieri impervi per raggiungere ben oltre i 4.000 metri di altitudine quei pascoli del cielo dove fino a un anno fa, si avventuravano soltanto i pastori con i loro lama, e dove, in epoca remotissima quella grande grotta fu trasformata in santuario.

Scoperta per caso da tre cacciatori, l’esplorazione compiuta dagli uomini del Centro Studi Ricerche Ligabue e dall’Istituto di Archeologia Amazzonica, nel poco tempo a disposizione fra la stagione delle nevi e quella delle piogge, ha potuto compiere i primi rilievi sulle decorazioni, su barlumi di scritture indecifrabili, sulle pietre sacrificati, in una atmosfera quanto mai suggestiva trasmessa al Lettore (a pag. 60) dalla trepida narrazione di Federico Kauffmann Doig, direttore del Museo di Arte di Lima e del Museo Nacional de Antropologia y Arqueologia di Lima.

Poichè ho parlato di «pozzo di scienza», chiudo questo paragrafo ricordando che il Centro Studi Ricerche Ligabue attualmente è impegnato in sei campagne di scavo, nel Botswana (Africa Mer.), sulla Cordigliera del Condor in Perù, nella zona del Rio Beni in Bolivia, nella terra dei Boscimani del deserto del Kalahari (Beciuania), in Egitto e nell’Oman.

Una volta il nome di quel bel mollusco cefalopode chiamato Nautilus, dal greco «marinaio», evocava le straordinarie avventure del Capitano Nemo, adesso fa pensare al primo sommergibile atomico, mentre questa conchiglia che sopravvive da milioni di anni, è tuttora fonte di studi appassionanti, e a pag. 24, Giancarlo Ligabue descrive il fenomeno della crescita del Nautilus pompilius: vedrete che non ho esagerato quando ho detto del nostro fervore.

Pensate – e cito solo un particolare – che questo cefalopode, ogni notte sale e scende nell’Oceano Pacifico per 4-500 metri, ricorrendo ad un meccanismo di pompaggio del gas nella propria conchiglia, e ogni volta, con questo sali-scendi si aggiunge un lieve strato di secrezione calcarea. Ebbene, la recente e stupefacente scoperta rivela che tale accrescimento avviene secondo un ritmo lunare con precisione astronomica!

Non lasciamo nell’oblio i nostri eroi: Vittorio Bottego (1860-1897), medaglia d’oro al valor militare, perito in un’imboscata dopo aver compiuto l’esplorazione lungo il corso dell’Omo, fra il lago Margherita e il lago Rodolfo, è stato il protagonista di una grande avventura rievocata a pag. 78 da Willy Fassio, membro del Centro Studi Ricerche Ligabue, viaggiatore ed esploratore, associato al Camel Trophy.

Willy Fassio ci dà  anche la descrizione attuale delle popolazioni del bacino del fiume Omo, con gli uomini guerrieri, nudi dal corpo coperto di cenere, e le donne con piattello nel labbro inferiore, gli uni e le altre come li aveva visti Bottego.
Massimo e Lucia Simion sono due medici che si sono dedicati allo studio della natura e qualcuno ricorderà  l’articolo di Lucia Simion sugli occhi degli insetti, che abbiamo pubblicato nel numero scorso, dedicandolo al mito di Argo. Questa volta, a pag. 36, Massimo e Lucia ci fanno penetrare nei «boschi del mare» che sono vere e proprie foreste tropicali che crescono nelle acque costiere: sono le mangrovie, dotate di speciali organi respiratori, habitat ideale per una schiera infinita di animali, dai crostacei ai cormorani, dai procioni alle egrette, rifugio per migliaia di specie di insetti e di pesci, senza contare che sono la più ricca fonte di tannino per concerie.

Ho citato il Capitano Nemo, che alimentò la nostra immaginazione di ragazzi con la descrizione degli oscuri abissi marini, poi, dopo la fantasia di Jules Verne, la realtà  di William Beebe e Otis Barton nel 1931, con la loro famosa batisfera, che scesero a 923 m. sotto il livello del mare, e infine, negli anni più vicini a noi, il batiscafo «Trieste» dei Piccard, che raggiunse i 12.000 metri di profondità .

Di quel mondo buio, freddo, spettrale, che sgomenta al solo pensarlo, abbiamo a pag. 106, il racconto di Roger A. Luckenbach laureato in ecologia e specializzato in vertebrati del deserto. Ha collaborato nella stesura del Programma di Studi Ambientali dell’Università  di Santa Cruz, California.

Da ultimo, il frutto di alcune mie ricerche quanto mai dilettevoli intorno alla curiosità  di una Venezia minore, che ai tempi della Serenissima aggiunse alla gloria dogale la fama della sue botteghe del caffè, che ispirarono a Goldoni una delle sue più belle commedie, e fra quelle botteghe, una che vive tuttora splendidamente dopo più di due secoli, ha una storia che avrebbe incantato persino il celebre Don Marzio goldoniano.

Nel Gran Caffè Quadri di Piazza San Marco sono passati i più grandi personaggi che dal 1775 hanno visitato Venezia, e terminata la lettura dell’articolo a pag. 130, vale la pena di andarci per trascorrere un’ora o due affacciati sul salotto più bello del mondo.

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