Ligabue Magazine 24

18.00

Primo semestre 1994
Anno XIII

Quando Leonardo da Vinci decise di lasciare la corte di Lorenzo il Magnifico, offrì i suoi servigi a Ludovico il Moro, presentandosi come costruttore d’armi, di artiglierie, di carri d’assalto, di canali, di forti, di edifici pubblici e privati, e sebbene non peccasse certo di modestia, soltanto alla fine della sua lettera annotò di essere anche pittore e scultore, e i biografi di solito esaltano il genio eclettico, l’artista sommo, l’inventore di macchine strabilianti, lo studioso che sa di fisica e di anatomia, ma raramente dedicano più di poche pagine fuggevoli al Leonardo geologo, mentre anche come tale ebbe grandi meriti, primo fra tutti quello di confutare e abbattere la teoria imperante da secoli, che i fossili reperiti sulle montagne d’Europa e d’Asia fossero reliquie del Diluvio universale.

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A pag. 104, pubblichiamo un articolo di Giancarlo Ligabue intitolato “I nichi di Leonardo”, e preciso subito che i “nichi” non sono biscottini delle suore senesi, ma quel nome deriva da nicchia, termine usato nell’antichità  per indicare le conchiglie. Leonardo cominciò fanciullo a raccogliere i nichi sulle colline intorno a Vinci, e in sulle prime, quelle perfette figure pietrificate di “cose marine”, molluschi, alghe, coralli, gli servirono come modelli per i suoi disegni. Più avanti negli anni, consulterà  i libri dei paleontologi del tempo, più fantasiosi che raziocinanti, più filosofi astratti che osservatori analitici, e ben presto diventerà  egli stesso un maestro che potrà  parlare “della stoltitia et semplicità  di quelli che vogliono che tali animali (fossili) fussi in tali lochi distanti dal mare, portati dal Diluvio…” Tutte queste cose si imparano agevolmente, direi piacevolmente, leggendo l’articolo citato.

Per chi volesse saperne di più, consiglio un’opera dello stesso Giancarlo Ligabue, “Leonardo da Vinci e i fossili”, un bel volume illustrato con riproduzioni di disegni e di manoscritti di Leonardo, pubblicato da Neri Pozza nel 1977. Nel libro sono ricordate ampiamente le teorie più stravaganti degli antichi sui fossili, e pagine accurate sono dedicate alle “passeggiate” di Leonardo: da Milano, dove rifuggiva dagli intrighi di corte, nei momenti di libertà  compiva lunghe escursioni, setacciando, annotando e raccogliendo fossili sulle Prealpi Lombarde e nel Monferrato.

Il bello del mestiere del giornalista è che ogni giorno ci si rende conto della propria ignoranza abissale, ma in compenso ogni giorno si apprende qualcosa di nuovo. Per esempio, fino a ieri, credevo di conoscere il significato del lemma funzionalismo, ma la mia era una nozione da orecchiante, perchè si sente dire che è funzionale una struttura architettonica, ed è funzionale un ferro da stiro, mentre il funzionalismo vero, quello dotto, è un indirizzo dell’etnologia contemporanea che insiste sulla necessità di presentare la cultura come un tutto organico, particolarmente nella vita sociale e accordando all’ambiente la massima attenzione. Lo sapevate? Bravi. Io lo ignoravo, e mi sono permesso questa divagazione, perchè il capo scuola del funzionalismo è stato il professar Bronislaw Malinowski, celebre etnologo e antropologo polacco, che compì importanti viaggi di ricerca negli arcipelaghi a sud-est della Nuova Guinea ed è ricordato a pag. 24, nell’articolo di Vincenzo Paolillo, il quale, sessant’anni dopo Malinowski, è andato a visitare Kiriwina, l’isola principale dell’arcipelago delle Trobriand, ricavandone informazioni quanto mai curiose.

Non le anticipo, perchè non voglio sottrarre diletto ai lettori, ma un paio di cenni li voglio dare. Uno è che questa Kiriwina potrebbe essere un paradiso per le femministe, perchè sebbene vi sia praticata la poligamia, l’organizzazione familiare e sociale è matrilineare. Un’altra perla “funzionale”: con la moda dei viaggi in terre esotiche, può capitarvi di arrivare in quelle isole felici, e se, una volta là , una bella ragazza vi invita a “fare kula”, non fuggite scandalizzati, non arrossite, provateci e vi piacerà . Ve lo spiegherà  Vincenzo Paolillo, un avvocato genovese, giornalista, scrittore.

Se un signore che sa quel che dice, mi racconta che certi animaletti paleozoici sono comparsi su questa Terra un miliardo di anni fa, che 500 milioni di anni fa, essi erano i padroni incontrastati dei mari per poi estinguersi quando i dinosauri emettevano i primi vagiti, i miei pensieri si perdono nei tanti misteri della natura, ma confesso che non provo grande emozione, mentre mi pervadono eccitazione ed entusiasmo quando apprendo che gli scienziati lavorando su certe rocce con l’ausilio di microcompressori, sono riusciti a ricostruire vita, morte e miracoli di questi artropodi, studiandoli come se li avessero davanti a sè. Pensate, hanno capito come erano fatti i loro occhi provvisti di una struttura tale da correggere le aberrazioni sferiche; hanno descritto il loro corpo e hanno scoperto come si nutrivano, e tutto questo osservando minuscoli fossili che hanno una lunghezza media di 50 millimetri.

Tali prodigi sono descritti a pag. 48, dal geologo triestino Flavio Bacchia, dal 1981 responsabile del più complesso laboratorio privato italiano di paleontologia.

Da noi, un giovane sogna di diventare un celebre chirurgo capace di trapiantare i cervelli (magari! ce ne sarebbe tanto bisogno), o di costruire un ponte fra Cagliari e Civitavecchia, o di scoprire un ominide che milioni di anni fa sapeva leggere e scrivere in cinque lingue, invece in certe isole del Pacifico può accadere di imbattersi in un signor Arthur Neale, laureato in Scienze Politiche, attualmente coltivatore di perle nere, il quale dice a Guido Carlo Pigliasco (a pag. 88): “In questo mestiere, per riuscire bisogna essere innamorati delle perle o essere già  molto ricchi. Altrimenti essere dei pazzi …”. Guido Carlo Pigliasco, avvocato milanese, ha raccolto le storie di questi favolosi coltivatori di perle nere nell’arcipelago delle Tuamotu, è specializzato in etnologia e cultura del Pacifico all’Università  delle Hawaii. Restiamo ancora nel Pacifico, per fare la conoscenza del vulcano Bromo, che nonostante il suo nome calmante è un terribile “dio del fuoco”, e sulle sue pendici troviamo una Shangri-la, una terra in cui vivono i Tenggèr, discendenti dei sudditi dell’impero indù-giavanese di Majapahit, che isolati dal resto del Paese, coltivano il riso e attendono trepidanti il risveglio della “montagna di fuoco”.

Li ha incontrati Maurizio Leigheb, giornalista, scrittore, documentarista, che in 25 anni ha visitato a fondo 85 Paesi extraeuropei, ha diretto più di 30 spedizioni in terre lontane, pubblicato libri di viaggi e suoi articoli sono apparsi in passato anche sul Ligabue Magazine.

Purtroppo, lo spazio non mi consente di parlarvi di un animale marino che ha un cuore come un’automobile, la bocca come un salotto, uno stomaco in cui sono stipate due tonnellate di cibo il giorno, pesante quanto un branco di 25 elefanti : è la mitica balena azzurra descritta a pag. 120 da Lucia Simion, che dopo esserci laureata con lode in medicina, nel 1987 ha deciso di dedicarsi alla fotografia naturalistica, raggiungendo la fama in questo campo. E’ una vecchia amica di giovane età .

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