Ligabue Magazine 25

18.00

Secondo semestre 1994
Anno XIII

Lo slogan del Ligabue Magazine, riportato sul frontespizio di ogni numero, recita: “La rivista di coloro che percorrono le vie del mondo”, e oggigiorno si contano a centinaia di milioni gli individui che viaggiano da un punto all’altro nei cinque continenti, incuranti dei disagi causati da stazioni ed aeroporti sovraffollati, dai ritardi dei mezzi di trasporto, dai disguidi, insomma, indifferenti a queste disavventure del resto sopportabili, se non addirittura trascurabili di fronte al dovere ed al piacere di “percorrere le vie del mondo”. Ma i nostri antenati come se la cavavano?

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* Le versioni digitali dal n. 1 al 57 sono ottenute da una scansione del Magazine. Potrebbero pertanto presentare delle imperfezioni nella visualizzazione dei testi e delle immagini.

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Per chi ama la storia, una tal curiosità resta inappagata nonostante la grande messe di descrizioni anche meticolose che ci hanno lasciato i viaggiatori senza il cui contributo gli esseri umani sarebbero rimasti nel mistero della notte dei tempi. E’ sorprendente soprattutto la rapidità  con cui si spostavano, talvolta con eserciti di migliaia di unità , con armi, bagagli, salmerie, e se le date della ritirata dei 10.000 nell’ ” Anabasi ” di Senofonte con ogni probabilità  non sono esatte, quelle riferite da Giulio Cesare nei suoi andirivieni in Europa sono controllate con assoluta precisione. Tito Livio racconta, rivelando la sua meraviglia, che il corriere romano Sempronio Gracco, inviato da Lucio Scipione a Filippo V durante la guerra contro Antioco III, percorse in 3 giorni i 325 chilometri tra Anfissa e Pella: stento a crederlo, ma si dà  per certo che l’imperatore Adriano, in 105 giorni, andò a piedi da Roma ad Atene, risalendo l’Italia fino a Tergeste (Trieste), e ridiscendendo attraverso la Pannonia, l’Illiria e la Macedonia. Occorre pur dire che allora era più agevole viaggiare che non nei secoli seguenti.

Scrive Pasquale Vasio (“Il postiglione”, 1974, Editalia): “Fino alla conquista della Gallia, la via più lunga andava da Roma a Chiusi ed era percorsa in tre giorni di marcia; nell’età  di Augusto, c’erano in Italia 48 strade, per 3.000 leghe; alla fine dell’impero la rete stradale aveva uno sviluppo complessivo di 300.000 chilometri, con un tratto massimo di 4.500 chilometri dalla Scozia all’Etiopia”. Ed erano strade mantenute in bell’ordine, mentre durante il Medio Evo e il Rinascimento, nessuno più si curò dello stato delle strade; i vari governi interessati ripresero ad occuparsi della manutenzione delle strade soltanto nella seconda metà  dell’Ottocento! E basta leggere, fra migliaia di narrazioni, quella della fuga da Parigi dell’imperatrice Maria Luisa dopo la caduta di Napoleone, per rendersi conto quali furono le fatiche, gli strapazzi cui doveva sottoporsi una dama di qualità  per raggiungere Vienna. E che dire delle scarrozzate del Cardinale Alberoni fra Roma e Madrid?

Ho trascurato i viaggi per mare con le loro incognite per richiamare l’attenzione sull’articolo di Gabriele Rossi-Osmida a pag. 64, dedicato ai viaggi compiuti nel 1300 dal berbero Abu ‘Abdallah Muhammad ibn ‘Abdallah ibn Muhammad ibn Ibrahim al-Lawati ibn Battutah, il quale, nella sua relazione, la “Rihla”, offre il resoconto di un inverosimile pellegrinaggio in Medio Oriente, in India e nel Golfo del Bengala, e forse a Sumatra e in Cina. Come abbia fatto, e con quel nome! non riesco ad immaginarlo, eppure l’itinerario è affascinante anche se, a differenza di Marco Polo, non ci dà  opinioni personali su ciò che vede, e si limita alla pura cronaca dei percorsi e delle tappe raggiunte.

Negli usi e costumi di questa rivista, non emerge mai l’ipocrisia della falsa modestia, tuttavia, se talvolta commettiamo un pecadillo di autocompiacimento vuol dire che abbiamo una ragione seria di cedere alla tentazione, e se oggi dedico poche righe alla recente elezione del paleontologo dottor Giancarlo Ligabue al Parlamento Europeo, gli è perchè si tratta di un caso fuor del comune in quanto il suo è il successo di uno studioso la cui fama è legata al suo Centro Studi Ricerche, alle sue esplorazioni dalla Nuova Guinea all’Africa, al Perù, alla sua dimestichezza, grande con i dinosauri, nulla con la politica.

A Strasburgo, Giancarlo Ligabue si batterà  per i diritti dell’ambiente, dell’uomo e delle minoranze etniche per il futuro dei nostri figli, e a pag. 24, parla proprio dei gruppi etnici delle minoranze, che sono ben 5.000 in 70 Paesi del mondo, gruppi che bisogna difendere e proteggere, favorendo il loro acculturamento progressivo e non inquinante, rispettoso di tradizioni millenarie minacciate dalle lotte cruente in questa Babele moderna. Ho detto che i viaggi dell’antichità  presentano tante incognite, ma se parliamo di misteri del passato, c’è da perdere la testa. Per la storia dell’astronomia, ad esempio, si pensa ai cinesi, agli indiani, agli arabi, ma se leggiamo a pag. 128, quello che avevano capito i Maya dei fenomeni celesti, restiamo allibiti: dei loro monumenti-osservatori dà  una puntuale descrizione Giuliano Romano, docente di Storia dell’Astronomia all’Università  di Padova, attualmente impegnato in studi di archeoastronomia in Italia e in America Latina.

Alexander W.A. Kellner, dell’American Museum of Natural History di New York, a pag. 44, svela la natura degli pterosauri, conosciuti come “rettili volanti”, che sono stati i dominatori dei cieli fra i 215 e i 65 milioni di anni fa. E chi sapeva che i primi americani, gli Ameridi, sono giunti in Alaska e in California fra i 20 e i 12.000 anni fa! Forse lo ignorano anche gli attuali abitanti di Anchorage e di San Francisco, eppure ce lo assicura Maria G. Marmori, a pag. 104 sfatando, fra l’altro, il significato cromatico dei “pellerossa”. Maria G. Marmori, è docente di biologia all’Università  di Milano, fotoreporter naturalista e sportiva, dopo dieci anni di spedizioni in Nepal, Tibert, Cina ed Africa, ha compiuto sei lunghe esplorazioni in Canada e in Alaska, lo Stato dell’Unione sul quale sta scrivendo un libro illustrato con sue fotografie.

Laura Alunno, a pag. 84, compie in Mauritania una difficile ricerca di un “manoscritto perduto” compendio delle parole e azioni del Profeta: l’Autrice è la responsabile delle attività  culturali di “Africa 70”, che realizza interventi di sviluppo integrato in Mauritania e in altri Paesi africani. Le informazioni contenute nel suo articolo sono emerse da incontri con studiosi di manoscritti, quali Abdarrahime Ould Hanchi, deputato di Chinguetti, Hadrami Ould Khattri, Presidente fondatore della Zawia di Tidjikja, e Mohamed Ould Barnaoui, docente dell’Università  di Nouakchott.

E per concludere con un altro mistero, almeno per un profano come me, seppure abituato a guardare e ad ammirare tante e tante stupende fotografie di animali, di fenomeni naturali, di piante e fiori, richiamo l’attenzione sui prodigi di questi pazientissimi e abilissimi fotografi dei quali, a pag. 148, scrive con limpido linguaggio, Antonio Paolillo, archeologo del Centro Studi Ricerche Ligabue, direttore del Museo di Storia Naturale di Crocetta del Montello, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Archeologia di Bolivia.

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