Ligabue Magazine 29
Secondo semestre 1996
Anno XV
Credo che con me, nel leggere a pag. 126 l’articolo di Monica Centanni, saranno in molti i Veneziani a provare ancora una volta un senso di vergogna nel constatare quali e quante meraviglie sfuggano all’attenzione del cittadino che pur ad ogni passo avverte il fascino millenario di questa città, ed io sono dovuto andare apposta nella piazzetta dei Leoncini per vedere, sulla facciata settentrionale della Basilica di San Marco, il bassorilievo bizantino che raffigura l’ascesa al cielo di Alessandro Magno.
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La dotta grecista Monica Centanni è, fra l’altro, colei che ha curato la prima edizione italiana del “Romanzo di Alessandro” ellenistico, l’opera che forse più di ogni altra narra la storia e le leggende del condottiero, e nell’articolo è citato proprio il brano che riferisce il volo di Alessandro in un canestro aggiogato a due ippogrifi affamati, che volavano per tentare di afferrare un fegato di cavallo tenuto davanti a loro come offa sulla punta della lancia del re. D’altra parte, l’ascesa al cielo è un mito che non può mancare nella storia degli eroi e dei profeti, come lo è la loro origine divina, e Plutarco dà per certo che Alessandro discendesse da Eracle per parte di padre, e da Eaco per parte di madre.
Alessandro però, secondo altre saghe, non avrebbe compiuto quel volo dopo la morte, bensì in vita per un atto di “superbia luciferina”, in quanto pretendeva di conquistare il cielo dopo aver dominato tutti i regni della Terra. I Veneziani, oltre il bassorilievo, importarono da Bisanzio un altro cimelio alessandrino, un piccolo disco smaltato con l’apoteosi di Alessandro in volo, inserito nel 1209, fra perle e gemme, nella Pala d’oro del Tesoro della Basilica, e il peccato di non averlo notato prima di avere letto l’articolo è forse meno grave, tanto più che neppure le guide vi accennano. L’Autrice conclude audacemente dicendo: “L’Alessandro marciano è dunque sì, l’Alessandro del Romanzo, ma anche la prefigurazione mitica dell’autorità imperiale del Doge della “terza Roma”.
E il volo di Alessandro con i grifoni è anche rappresentazione temporale del potere pantocratico di Cristo, della cui ascensione il princeps, il basileus, è il “doppio terreno”. Spero che Monica Centanni mi perdoni se aggiungo qui una breve digressione forse fantasiosa: poiché stando alle recenti ricerche i primi esseri umani che abitarono Venezia e le regioni limitrofe per divenire poi i venetici e i veneti, provenivano dalla Paflagonia, mi piace legare questa regione sulla sponda meridionale del Mar Nero, alla storia di Alessandro Magno, il quale dopo aver tagliato il nodo di Gordio, mosse alla conquista della Paflagonia e della Cappadocia. Plutarco non lo dice, ma può ben essere che i Paflagoni in fuga con le loro bellissime donne, essendo abili navigatori abbiano raggiunto e risalito l’Adriatico.
Restiamo nel vicino Oriente per parlare di Cipro e per dare il benvenuto a pag. 24 a Vassos Karageorghis, professore di archeologia all’Università di Cipro, membro straniero dell’Accademia di Atene, grande esperto di storia delle comunicazioni, della cultura, dei commerci, che nei millenni hanno avuto per teatro le terre intorno al Mar Egeo e al Mediterraneo Orientale. Bisognerebbe poter risalire ai tempi omerici: è sorprendente l’attività che ha coinvolto i ciprioti nel voler avere rapporti non effimeri con le popolazioni del continente europeo e del Medio Oriente, dando all’isola grande un po’ meno della Basilicata, conosciuta con il nome di Alasia, un’importanza preminente negli scambi di idee e di prodotti fin dal III millennio a.C.
Passata dai Fenici agli Egiziani e poi ai Persiani, fu per lungo tempo ostile alla Grecia. Combattè anche contro gli Spartani, entrò nel mondo ellenistico con Alessandro Magno, Giulio Cesare la restituì a Cleopatra, ma non intendo certo riferire qui la lunga e tormentata storia di Cipro anche se per ragioni sentimentali vorremmo ricordare il suo periodo veneziano con la regina Caterina Cornaro, ma per attenerci all’articolo in esame, citiamo piuttosto per i traffici marittimi quanta importanza hanno le sue miniere di rame. Karageorghis richiama l’attenzione sul rinvenimento presso la costa sud-occidentale dell’Asia Minore di una nave cipriota “mandata in missione regale” dal re di Alasia con un carico di 355 lingotti di rame del peso complessivo di 10 tonnellate! In quella Tarda Età del Bronzo le esportazioni comprendevano anche stagno, vetri, giare e persino oggetti di lusso, senza contare il flusso del buon vino di Cipro diffuso in Europa dai mercanti veneziani con la pregiata uva passa.
Un’altra fonte di sorprese, per me di grandi sorprese, è la varietà e la ricchezza della fauna selvatica nella Laguna di Venezia. Fino a ieri, credevo che qui i volatili fossero soltanto i gabbiani, molti; i piccioni, troppi; e i pochi merli del mio giardino. Invece a due passi dal centro storico si possono vedere le deliziose garzette, centinaia di aironi rossi, cormorani, rondini di mare, trampolieri come l’elegante cavaliere d’Italia, picchi rossi e ghiandaie. Leggetene, sgranando gli occhi a pag. 144, nell’articolo del naturalista Michele Zanetti, autore di vari libri di cultura naturalistica, presidente dell’Associazione Naturalistica Sandonatese. Un altro naturalista di molti meriti è Bruno Berti, conoscitore delle tradizioni veneziane, che con il suo articolo a pag. 106, potrebbe fornire ottimi spunti a registi di film dell’orrore, perchà© parla di quelle piante carnivore che in verità non divorano uomini come sostenevano le antiche leggende, ma in fatto di astuzie crudeli ne sanno pi๠dei cinesi del giardino dei supplizi.
Un nostro affezionato collaboratore, lo scrittore e documentarista Maurizio Leigheb, a pag. 48, ci trasporta tra gli amerindi della Vale do Javarì nello Stato di Amazonas, dove gli uomini, chiamati Matis, vivono nudi, e si coprono il viso di sottili e appuntiti ornamenti che li fanno somigliare ai giaguari. Un altro balzo e siamo nell’Oceano Pacifico per imparare a pag. 82, dall’etnologo Guido Carlo Pigliasco che la storia dei polinesiani è legata alla loro eccezionale abilità di navigatori, genuini, indigeni, e non alla colonizzazione degli americani come aveva cercato di dimostrare Thor Heyerdahl con il Kon-Tiki. Pensate che ancora quest’anno, i polinesiani con le loro canoe sono stati capaci di percorrere 6.000 miglia nello sterminato oceano senza carte nautiche e senza strumenti. Non avevano bisogno che qualcuno venisse a insegnar loro qualcosa.
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