Ligabue Magazine 38
Primo semestre 2001
Anno XX
Agli albori della storia biblica, il popolo eletto di Israele era composto di poche migliaia di individui e il Signore li teneva d’occhio uno per uno, parlava con loro per ammonirli, proteggerli, esortarli, non era come adesso che, mentre ebrei e palestinesi si combattono atrocemente, Egli guarda altrove, o per Suoi imperscrutabili disegni lascia che, in quella ed in altre contrade, la violenza si punisca con la violenza.
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Al tempo che ci interessa, fra quei pochi ebrei ve n’erano alcuni inclini a cedere alle tentazioni del Maligno: c’erano i “figli di Dio”, che erano discendenti di Set, le “figlie degli uomini”, che erano discendenti di Caino, e in più si aggiravano da quelle parti i “giganti della Terra”, venuti non si sa da dove, “eroi famosi”, i quali avevano un successo che esorbitava i limiti del lecito, ma il Signore era allora facile all’ira e si legge nel Libro sacro, Genesi, 6,5 e seg.: “Il Signore, vedendo che la malvagità degli uomini era grande sulla Terra e che tutti i pensieri concepiti nel loro cuore erano rivolti continuamente al male, si pentì di aver fatto l’uomo sulla Terra e se ne addolorò in cuor suo tanto che disse: “Sterminerò dalla faccia della Terra l’uomo da me formato …” Quindi, concessa la grazia a Noè, il Signore fece piovere per 40 giorni e 40 notti e, Genesi, 7,22: “Tutto quello che era sulla terra asciutta e aveva alito vitale nelle narici, perì. E tutti gli esseri che erano sulla faccia della Terra furono eliminati …” E le acque rimasero sulla faccia della Terra per 150 giorni …
E così avvenne quello che nei racconti biblici, assiro babilonesi, indiani, cinesi, è chiamato il diluvio universale, uno dei più grandi miti dell’umanità, tuttora avvolto in un mistero che i geologi cercano di penetrare, e le loro ricerche più recenti ci permettono di acquisire qualche dato essenziale sul come, dove, quando. Con rigore scientifico, Viviano Domenici ci fornisce a pag. 56 una prima informazione davvero sorprendente secondo la quale il diluvio che sommerse gli esseri viventi ad eccezione di quelli rifugiati sull’Arca, si verificò 7500 anni fa, come dire l’altro ieri.
Se pensiamo che conosciamo qualcosa della storia degli uomini da epoche intorno al 4000 avanti Cristo, quasi quasi è mancato poco che ci si imbattesse in un testimone di questo cataclisma, poichè c’è sempre un sopravvissuto come l’ultimo garibaldino. Cresceva il livello del mare Egeo ed ecco che un giorno iniziò a travasare in quello che era il Lago Nero al di là del Bosforo scaricando acqua con una potenza 400 volte superiore a quella delle cascate del Niagara! Un esploratore poi, recentemente, trovò sui fondali del Mar Nero i resti di un edificio, ma qui mi fermo per non privarvi del piacere di leggere le rivelazioni che ci regala Viviano Domenici.
Facciamo un salto all’indietro di parecchi milioni di anni. Immaginate di portare il paleontologo archeologo Giancarlo Ligabue ai margini di un deserto che egli non conosce, lo vedrete che aguzza lo sguardo, che punta qualcosa che voi non vedete come un segugio, e se in quel deserto c’è un fossile di dinosauro, anche una sola vertebra, siate certi che lui la troverà. Ha trovato i dinosauri in Africa, in America, in Asia, e se proprio non ci sono i fossili, ne rinvenirà le orme, o le uova, perché questo ricercatore rispetto ai dinosauri è come i cani delle Langhe in terra di tartufi, li annusa, sente vibrare tutto il suo sistema nervoso e poi, come un rabdomante, carte geologiche in mano, dice: scaviamo qui. E non si sbaglia, come sappiamo bene dalle tante sue relazioni pubblicate su questa rivista. Ma dei dinosauri non si accontenta, trova anche fossili di animali preistorici che polverizzati e mescolati con acqua o alcolici finiscono con il formare un medicamento fra i più importanti della farmacopea cinese, una panacea che ha un nome suggestivo, il dente di drago, le cui vite sono descritte da Ligabue a pag. 134.
Ci voleva il suo fiuto per scovare i denti di drago in un’antica farmacia cinese, e quindi scoprire che questi placebo talvolta utilizzano fino a 1500 elementi naturali, dai fossili dell’ Hipparion, un piccolo cavallo vissuto due milioni di anni fa, a quelli di un ominide chiamato Sinanthropus pekinensis, l’uomo cinese di Pechino, ai fossili di un enorme primate, il Gigantopithecus blacki, blacki in onore del paleontologo Davidson Black. Non credete che questi denti di drago siano prodigiosi?
Ebbene, il geologo svedese G. Anderson sosteneva che mescolando polvere di dente di drago in una tazza di tè si ottiene un rimedio universale che guarisce oltre alla malaria, le malattie femminili, le disfunzioni del fegato e quelle cardiovascolari, e persino l’ansia, che evidentemente non è un malanno solo dei tempi moderni. Non so se Giancarlo Ligabue affronta i pericoli delle sue esplorazioni portando con sé un dente di drago, io personalmente ho una fiducia illimitata nella medicina cinese e in particolare nell’agopuntura che mi ha guarito dalle cefalee e dall’insonnia. Si suole dire scherzando, ma non tanto, che i giornalisti sono coloro che sanno spiegare agli altri quello che essi stessi non hanno capito: nulla di meno vero per il giornalista scrittore esploratore Maurizio Leigheb che va, studia, paga di persona, segue la regola d’oro del giornalismo americano, se scrivi di Garibaldi, controlla sull’enciclopedia se si chiamava Giuseppe, e basti dire che per 25 anni, a partire dal 1969, ha esplorato, filmato e fotografato le isole dell’arcipelago indonesiano e della Melanesia.
I nostri lettori ricorderanno i suoi articoli su questa rivista, l’ultimo quello sui Matiz, gli uomini giaguaro dell’Amazzonia, e apprezzeranno quanto scrive a pag. 24 sulla Dancalia, il deserto infuocato che, se Dante lo avesse conosciuto, vi avrebbe collocato uno dei suoi gironi dell’ inferno. E’ una depressione a 120 metri sotto il livello del mare, coperta da una coltre di sale profonda 800 metri: là vivono, o meglio, sopravvivono gli Afà r in quello che è la probabile culla dell’umanità dove sono state trovate le ossa dei nostri più antichi progenitori, e dove in un passato non così lontano, hanno perduto la vita gli uomini ardimentosi che componevano le missioni esplorative italiane. E’ un racconto, questo di Leigheb, avvincente e drammatico. In fatto di curiosità culturali, un altro che non teme confronti è Guido Carlo Pigliasco, che oltre tutto deve avere una mente naturalmente computetizzata perché riesce a muoversi con disinvoltura come nel giardino di casa nella miriade di isole del Pacifico, fino a che è riuscito a darci una visione abbastanza dotta di quel complesso culturale diffuso nell’arcipelago delle Fiji definito Lapita, dal nome di una spiaggia della penisola di Konà© in Nuova Caledonia. E’ una cultura poco conosciuta quella di Lapita, ma è un altro tassello importante della storia dell’ uomo.
Raccomando una lettura attenta senza distrarsi, altrimenti la vostra piroga finisce in secca. Non mi resta abbastanza spazio per parlare come si meriterebbe dell’archeologo peruviano Federico Kauffmann Doig, il quale, fra i tanti riconoscimenti per il valore delle sue opere, ha ottenuto l’ambito premio di “Amauta”, “Saggio” nella lingua degli Inca. E’ direttore del Museo d’Arte Peruviana, direttore dell’ Istituto di Archeologia Amazzonica, in Perù, e membro del Comitato Scientifico del Centro Studi Ricerche Ligabue. Segnalo a pag. 112 il suo articolo sulla “Laguna delle mummie”, ne apprezzerete le descrizioni di un mondo tanto lontano da noi con i suoi misteri. Concludo richiamando l’attenzione sulle pagine di fotografie scelte dalla Redazione perchà© sono belle, suggestive e rivelatrici dell’ arte di maestri che sanno vedere e tradurre in immagini quello che noi non vediamo.
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