Ligabue Magazine 39

18.00

Secondo semestre 2001
Anno XX

Nello scorso settembre, il “Corriere della Sera” pubblicava un articolo intitolato “In azione due sentinelle italiane per controllare gli asteroidi”; le due sentinelle dette acchiappa-asteroidi sono: una gigantesca parabola bianca del diametro di 32 metri sistemata nella pianura di Medicina, vicino a Bologna; l’altra è un telescopio sull’altopiano di Asiago; un riquadro fornisce una succinta illustrazione sugli asteroidi, o pianetini, di dimensioni varie fra alcuni chilometri e 1303 chilometri di diametro. Giunto alla fine dell’articolo, letta la firma dell’Autore, Giovanni Caprara, ho sorriso pensando: certo, in quegli spazi siderali questo scrittore deve sentirsi di casa.

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* Le versioni digitali dal n. 1 al 57 sono ottenute da una scansione del Magazine. Potrebbero pertanto presentare delle imperfezioni nella visualizzazione dei testi e delle immagini.

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Perché Giovanni Caprara, del quale anche noi pubblichiamo un articolo a pag. 138, è l’unico giornalista, e forse l’unico italiano, il cui nome è stato dato ad un asteroide, perciಠquando egli parla di pianetini è come se ci raccontasse le avventure dei suoi fratellini.

Giovanni Caprara, giornalista scientifico del “Corriere della Sera”, dopo aver studiato ingegneria al Politecnico di Milano, si è subito interessato di ricerche astronomiche e aerospaziali collaborando anche alla RAI, a “El Pais”, alla rivista astronomica “Orione”, ha scritto per Mondadori libri su queste materie che lo affascinano, affascinando a sua volta, i lettori italiani e stranieri, tanto che l’anno scorso gli è stato attribuito il premio “Conscientia” per il giornalismo scientifico assegnato congiuntamente a quattro università milanesi, la Statale, la Cattolica, la Bocconi e il Politecnico.

Per noi Caprara ha compilato una sorprendente rassegna dei robot che viaggiano oltre i confini del cielo, aprendo le strade alle future esplorazioni fra pianeti, lune, asteroidi. C’è Ulisse, la sonda costruita dall’Esa che ha sorvolato per la prima volta i poli del sole; c’è la Galileo, che ruota intorno a Giove; è in viaggio verso Saturno il robot Cassini-Huygens che si scomporrà lasciando la sonda madre Cassini a ruotare intorno a Saturno, mentre la capsula Huygens atterrerà su Titano, e poi altri ancora in uno spazio affollato di robot fino al punto in cui la mia mente si smarrisce, ed è quando Caprara ci informa che i due robot lanciati agli inizi degli anni settanta, Pioneer 10 e 11, che si sono un tempo avvicinati a Giove, e a Saturno, stanno continuando la loro missione nel cosmo, e Pioneer 10 fra due milioni di anni passerà accanto ad una stella della costellazione del Toro, mentre Pioneer 11 ha bisogno di un po’ più di tempo perché solo fra quattro milioni di anni sfiorerà un astro della costellazione dell’Aquila.

Penso con ammirazione e sgomento che ci sono scienziati e tecnici capaci di fare calcoli della portata di milioni di anni, tranquilli, sicuri, quasi che un giorno fossero in grado di controllare l’esattezza delle loro previsioni. Un altro collaboratore che brilla nella piccola galassia del Ligabue Magazine è Francesco Petretti il cui volto è ben noto ai telespettatori della RAI. Francesco Petretti è un giovane biologo che insegna Gestione delle risorse animali all’Università di Camerino, scuola di specializzazione in Gestione dell’ambiente naturale, ha compiuto studi sull’ecologia dell’aquila dei serpenti, degli uccelli delle steppe, della coturnice, è consulente scientifico del WWF Italia, della trasmissione Quark di RAI l ed è il più assiduo esperto presente a “Geo & Geo”: parla con voce pacata, sempre sorridente, dice con estrema naturalezza cose difficili che all’improvviso ci appaiono chiare quasi enunciasse verità note e banali, mai una parola di più, mai alla ricerca di frasi ad effetto, insomma è un ottimo showman per sua fortuna inconsapevole.

Devo aggiungere che è autore di libri e di premiati documentari di argomento naturalistico, e per noi ha scritto (vedi pag. 52) un interessante articolo sulle montagne di Bale che ospitano la più vasta e conservata brughiera afroalpina, un habitat alpestre che compare soltanto sulle vette più alte del Continente Nero, montagne su cui è il cuore originario della Coffea arabica, la preziosa pianta che ci dà un prodotto apprezzato e desiderato in tutto il mondo. Questo acrocoro etiopico, con montagne che superano i 4300 metri, è rimasto inesplorato fino alla fine del XIX secolo, ha conservato una flora e una fauna davvero peculiari, e nella mia ignoranza, ho trovato che sulle montagne di Bale vivono, oltre il lupo di Abissinia, animali che non avevo mai sentito nominare, come il niala, il rospo di Malcolm, i colobi guereza, gli ilocheri e i tragelafi.

A questo punto molto lettori si divertiranno a consultare le enciclopedie, mentre noi, guidati dalla bussola sicura di Viviano Domenici assiduo e prezioso collaboratore del Ligabue Magazine, ci avventuriamo nel Turkmenistan alla ricerca dei tesori appartenuti a quei signori del deserto che 4000 anni fa controllavano le vie delle oasi nell’Asia Centrale. E anche qui le sorprese non mancano grazie agli scavi e alle ricerche condotte dagli archeologi del Centro Studi Ricerche Ligabue di Venezia in particolare nella capitale Gonur descritta da Giancarlo Ligabue come un “gran caravanserraglio, dove passava un flusso ininterrotto di carovane che scaricavano merci e prodotti esotici e ripartivano con ricchezze portate da altre carovane”.

Dall’Asia centrale al Perù dove la collega Giulia Castelli Gattinara si è accompagnata a Mario Polia sulla Cordigliera del Condor; Polia sulla cima del Cerro Saquir, a 3000 metri di quota, ha scoperto la tomba di un sacerdote del Tempio dei giaguari di Mitupampa che risale a circa 4000 anni fa. Polia è l’archeologo e antropologo italiano che ha conquistato fama internazionale soprattutto per le sue ricerche in Perù altre volte illustrate in questa rivista, e Giulia Castelli Gattinara è una giornalista di molti meriti nel campo dell’ archeologia poiché sa divulgare con maestria questa scienza, come ce lo dimostra con l’articolo che pubblichiamo a pag. 24.

Fra le tante cose interessanti che racconta, c’è una rivelazione: un frutto che veniva utilizzato per le cerimonie con sacrifici umani al dio Giaguaro è l’Ulluchu della pianta Carica candicans che ha la proprietà di mantenere aperta una ferita con il sangue che continua a scorrere per circa tre ore, il tempo necessario al compimento del rito macabro.

A pag. 76, un’altra collega di vaglia, Sandra Gastaldo, offre la piacevole lettura di una rapida scorribanda nelle opere di Emilio Salgari destando in noi il desiderio di andare a rileggere le avventure di Yanez e di Sandokan. E chi ama i paradisi tropicali con la natura ancora incontaminata si affretti a visitare le isole Andamane nel Golfo del Bengala prima che il turismo di massa ne alteri il fascino descritto a pag. 108, da Marco Cattaneo, vice direttore della rivista “Le Scienze”, e da Jasmina Trifoni, giornalista del mensile “Meridiani”, viaggiatrice appassionata studiosa della cultura indiana.

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