Ligabue Magazine 42

18.00

Primo semestre 2003
Anno XXII

Oggi, forse pochi in Italia ricordano il nome di Camille Flammarion, ma fra il fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento questo astronomo era uno dei francesi più famosi in Europa, il suo nome ricorreva persino nei giornali per l’infanzia, e tal celebrità era dovuta non tanto ai suoi studi della sfera celeste, quanto se non addirittura esclusivamente, alla sua eccezionale abilità di divulgatore scientifico. Ricordo che ancora negli anni Trenta e Quaranta, se un cattedratico si azzardava ad illustrare su un giornale i risultati di una ricerca in campo medico veniva giudicato dai colleghi con una vena di disprezzo, colpevole di svilire la professione. Del resto, era il tempo in cui mai e poi mai un chirurgo avrebbe accettato di parlare con i giornalisti di un suo intervento. Soltanto negli anni più recenti, la divulgazione scientifica è entrata quasi trionfalmente nel patrimonio culturale popolare, e per questo grande merito va riconosciuto alla televisione e ai quotidiani che almeno un giorno la settimana dedicano alcune pagine alla scienza.

Incluso nel prezzo anche la versione digitale *

* Le versioni digitali dal n. 1 al 57 sono ottenute da una scansione del Magazine. Potrebbero pertanto presentare delle imperfezioni nella visualizzazione dei testi e delle immagini.

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Cito qualche nome, scusandomi per le involontarie dimenticanze in una pagina che peraltro ha fini diversi. Ed ecco che ascoltiamo affascinati Piero Angela e suo figlio Alberto, l’ingegnere filosofo Luciano De Crescenza, e fino al 1997, anno della sua scomparsa, l’archeologo Sabatino Moscati, e leggiamo avidamente i testi dell’etologo Danilo Mainardi dell’Università di Venezia, e di altri ancora, che senza bisogno di veline sculettanti si sono conquistati i favori del grande pubblico. Accanto a questa schiera tuttora esigua di benemeriti sono in degna posizione i collaboratori del Ligabue Magazine, una rivista che fin dall’inizio, sull’esempio dei primi testi di Giancarlo Ligabue ha sposato il rigore scientifico con il linguaggio limpido dei maestri latini, e difatti in questo numero troverete altri esempi di assennata divulgazione.

A pag. 62, un articolo che comincia così: “Per secoli gli scienziati non volevano accettare ipotesi fantastiche come quella che i ragni siano capaci di pensare. Agli esseri umani l’idea che sul nostro pianeta ogni vivente possieda una dose di intelligenza non piace, li mette a disagio. In più continuavano a considerarli insetti, mentre sono esseri speciali, pieni di inventiva e persino di creatività”. Questo è il buon incipit dell’articolo di Mirella Delfini che dopo essere stata l’inviata speciale di vari quotidiani nelle zone calde del mondo da dove ha inviato reportages di grande rilievo, è da anni studiosa di problemi dell’ecologia e dell’etologia, né si possono dimenticare alcuni suoi libri come “Insetto sarai tu” illustrato da Giorgio Forattini, e “Interviste con gli animali”.

E ora sentite questa: un ragno messo in un vaso altissimo e stretto poteva sembrare destinato a morire laggiù; per un giorno e mezzo lo sciagurato se ne stette immobile a pensare, poi ha cominciato a tirare un filo orizzontale, poi un altro un po’ più in su, poi un altro a formare un terzo gradino, così fino all’ottantaduesimo gradino, formando una scala che ha permesso al ragno di riconquistare la libertà.

Un divulgatore di prima grandezza che i nostri lettori conoscono bene è Maurizio Leigheb, scrittore, documentarista, ha compiuto viaggi in varie parti del mondo e a pag. 120 ci porta a scoprire un’isola sperduta nell’Oceano Indiano, Socotra, che dopo essere stata protettorato britannico, è ora sotto la sovranità dello Yemen, conosciuta dai Greci e dai Romani come Dioscorides, ha una superficie di 2.240 chilometri quadrati, non ancora sconvolta dalla sfruttamento turistico, è rimasta incontaminata, un paradiso incantevole dove gli abitanti, pescatori e pastori, coltivano ed esportano, incenso, mirra, datteri e piante meravigliose fra cui la Dracaena cinabari o “palma del sangue del drago”, che fornisce il colore rosso per decorare i vasi di argilla e che è diventata il simbolo di Socotra.

E’ un personaggio eccezionale quello presente a pag. 24, si chiama Bertrand Piccard, e nel 1999 ha battuto numerosi primati compiendo in 19 giorni, 21 ore e 49 minuti, il giro del mondo in pallone aerostatico. Nessuno era riuscito prima di lui a percorrere 45.755 chilometri a bordo di una mongolfiera, sfruttando soltanto la forza del vento. Per cominciare la sua biografia, è nipote di quell’Auguste Piccard che inventò il leggendario Batiscafo, il sottomarino per esplorare le profondità degli abissi oceanici; è il figlio di Jacques, inventore del Mesoscafo per esplorare la Corrente del Golfo, ed egli stesso è dottore in medicina, specialista in psichiatria e psicoterapia; ha studiato e insegnato il metodo per utilizzare le esperienze del volo in pallone ai fini di una migliore comprensione della psicologia della vita. E’ un elenco che non finisce mai, ma voglio ricordare che il pallone “Breitling Orbiter 3” con cui ha compiuto il giro del mondo è esposto allo Smithsonian Museum di Washington accanto allo “Spirit of St. Louis” di Lindbergh, all’aereo dei fratelli Wright e alla capsula “Apollo 11”.

Lalibela, sembra la prima parola di una nenia. Provate a ripeterla, lalibela, lalibela, ed ecco una di quelle cantilene che evocano popoli lontani e sperduti nel mistero delle leggende, e in realtà è quasi così, perché è il nome di un’antica comunità monastica isolata su un altipiano etiopico a 2.800 metri, dove fra chiese scolpite nella roccia, il 7 gennaio si celebra il Natale copto in un susseguirsi di cerimonie con il tintinnio dei sistri e dei sonagli. Deve essere bellissimo ma scomodo, e per fortuna c’è stata Francesca Mascotto, biologa, fotografa ed esploratrice, che a pag. 88 ce ne dà una descrizione suggestiva, poetica, evocatrice di sogni sepolti nelle nebbie dei ricordi.

Kant volle che sulla sua tomba fosse scritto: “Due cose hanno sempre riempito l’animo mio di meraviglia / il cielo stellato sopra di me l la coscienza morale entro di me”; sono certo che queste parole attraversavano la mente degli uomini che hanno creato e montato con fatiche improbe il più grande telescopio del mondo a Cerro Paranal sulle Ande, a 2.635 metri di altitudine. A pag. 146, lo descrive da par suo Adriano Favaro, il giornalista del “Gazzettino”, maestro nell’illustrare mirabilia della scienza, di antropologia, di etnologia, e partecipe di grandi viaggi esplorativi con il Centro Studi Ricerche Ligabue.

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