Ligabue Magazine 49
Secondo semestre 2006
Anno XXV
Tra i sogni più antichi dell’uomo c’è quello di volare: non in aeroplano o in una navicella spaziale, ma con ali vere, come gli uccelli. Ci provò Icaro, con ali fatte di penne, ma precipitò a capofitto in mare; poi fu la volta dell’aiutante di Leonardo, che si buttò giù da un pendio con ali di legno e tela, ma finì con uno spavento e qualche frattura. Altri avventurosi tentarono e ritentarono, ma nessuno spiccò il volo. Così, si cercarono altri sistemi per volteggiare tra le nuvole e fu un successo straordinario, tanto che oggi possono volare tutti. In aereo. Volare sbattendo le ali è rimasto un sogno.
Incluso nel prezzo anche la versione digitale *
* Le versioni digitali dal n. 1 al 57 sono ottenute da una scansione del Magazine. Potrebbero pertanto presentare delle imperfezioni nella visualizzazione dei testi e delle immagini.
Eppure, a guardare le immagini che accompagnano l’articolo di Lucia Simion sulle migrazioni degli uccelli, si ha la sensazione di essere in cielo e volare insieme ad anatre e cigni, come loro, davvero alla pari. A realizzare il miracolo sono stati i documentaristi di un’equipe francese, riunita dall’attore, regista e produttore Jacques Perrin, che per cinque anni hanno allevato e istruito volatili di tutti i tipi, letteralmente dal nido al cielo, abituandoli alla presenza degli uomini e delle loro macchine volanti. Poi li hanno liberati e seguiti in cielo, per volare su tutti i continenti, come uccelli tra gli uccelli. Perrin e collaboratori non hanno realizzato il sogno di volare con ali proprie, ma con le loro foto ci sono andati più vicini di tutti.
Per esploratori – Nell’Ottocento, quando viaggiare voleva dire quasi sempre esplorare, sapere come se l’erano cavata gli altri in situazioni difficili poteva fare la differenza tra il successo e l’insuccesso. Ne era convinto Francis Galton, cugino di Charles Darwin, che raccolse dagli esploratori più informazioni possibili e ne fece un libro, prezioso e singolare, pubblicato in Italia dalla casa editrice Ibis. Davide Domenici ha scelto i consigli più singoli e stravaganti; eccone qualcuno: per disinfettare le ferite cospargerle di polvere da sparo e poi farla scoppiare; per non morire di fame bollire i finimenti dei cavalli e mangiarli; per nascondere qualche pietra preziosa farsela cucire sotto la pelle di un braccio. Tutti da leggere.
Il tesoro del re – L’ esercito ittita che nel XIII secolo avanti Cristo attaccò la città di Qatna, in Siria, fece tali distruzioni che le macerie finirono per coprire tutto. Proprio tutto, compresi il palazzo del re e le tombe
degli antenati reali. E nessuno si accorse che sotto i crolli erano rimasti bracciali e collane d’oro, avori intagliati, coppe preziose, statue e sarcofagi scolpiti. Tutto rimase là sotto, per millenni. Poi arrivarono gli archeologi e rimossero terra e mattoni scoprendo un pozzo profondo che portava alle tombe reali. Ce lo racconta Gabriele Rossi Osmida, che di tesori sepolti se ne intende, attraverso le parole e le emozioni di chi per primo scese nel sotterraneo e scoprì cose degne della grotta di Alì Babà.
Paese fatato – Chi è stato in Cappadocia sa bene che è impossibile descriverla davvero. Le parole adatte non ci sono perché i vocabolari li scrissero quelli che laggiù non ci andarono mai. Bisognerebbe raccontare come vecchissimi vulcani spararono ceneri bianche, gialle o rosse e crearono strati multicolori; come la pioggia e il vento modellarono pinnacoli e gole che paiono scavati in una torta al cioccolato, alla crema o alla panna. Bisognerebbe dire di quando contadini e monaci cominciarono a scavare nel tufo per creare case, cantine e chiese; e senza accorgersene crearono un’architettura “dal di dentro” che solo a pensarla manda in confusione le idee. E nelle chiese gli artisti dipinsero drappeggi d’Oriente, pareti d’alabastro, capitelli d’agata fasciata, colonne di lapislazzuli. Tutto finto, ma più bello del vero. Poi riempirono navate e absidi con una folla di santi e madonne, di apostoli e cristi con occhi grandi e sgranati. Ecco perchà© non si può descrivere la Cappadocia con le parole che conosciamo: è un paese fatato.
Elefanti e barche – Dicono che il Kerala, una regione dell’India meridionale, sia stato creato da un dio dalle mani aperte, tanta è la bellezza che vi profuse. Bello il paesaggio disegnato da canali fluviali e boschetti di palme che disegnano ricami nel cielo rosso del tramonto, belli gli occhi intensi delle donne, belle le sfilate di elefanti coperti di drappi colorati, belle le regate delle barche lunghe quaranta metri ma eleganti come gondole. Questo è il Kerala che ci racconta Cristina Del Mare, spiegandoci che laggiù, ogni ricorrenza religiosa è l’occasione per far festa tutti insieme e rinsaldare i legami con una tradizione che resiste all’assalto del tempo. E ci regala la voglia di andare subito laggiù.
Venezia dall’alto – L’anno 1500 stava per arrivare quando un editore tedesco decise di realizzare una “cartolina” di Venezia degna di passare alla storia: una stampa lunga quasi tre metri. Così incaricಠJacopo de’ Barberi di disegnare e incidere una veduta della città “a volo d’uccello”, cioè vista dall’alto. Come ci racconta Bruno Berti, l’artista raccolse la sfida mandando dei collaboratori su torri e campanili a fare schizzi su schizzi, quindi ricompose il tutto e incise la Veduta su sei grandi tavole di legno di pero. Poi mandò tutto alle stampe e fu un evento editoriale di cui si parlò in tutte le corti d’Europa. Per de’ Barberi furono onori e gloria, ma lui decise di trasferirsi in Germania e non tornò più nella sua Venezia.

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