Ligabue Magazine 6

18.00

Primo semestre 1985
Anno IV

Nel 1666, la peste infuriava a Londra e il giovane Isaac Newton si rifugiò nella campagna paterna di Woolstrop dove, nel pomeriggio del 21 giugno, vedendo cadere una mela dall’albero presso il quale si era fermato a riposare e a meditare, intuì la legge della gravitazione universale. Nello scorrere la storia del progresso della civiltà su questo nostro pianeta, vien fatto di invidiare non già i condottieri dominatori di popoli o gli artefici di grandi ricchezze, bensì gli artisti e gli scienziati che, in un attimo fuggente della loro vita, hanno avuto la fortuna di provare quella gioia sublime che può dirsi felicità pura riservata a pochi eletti.

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* Le versioni digitali dal n. 1 al 57 sono ottenute da una scansione del Magazine. Potrebbero pertanto presentare delle imperfezioni nella visualizzazione dei testi e delle immagini.

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Non per nulla Paganini disse una volta al termine di un concerto: «Così si suona in Paradiso». Egli stesso aveva trascorso un’ora in Paradiso. Stefan Zweig ha chiamato quei momenti di estasi «le ore delle stelle». Sono le ore come quelle della notte fra il 21 e il 22 agosto 1741 in cui Georg Friedrich Handel, malato, ebbe l’ispirazione di comporre il «Messia». Sono le ore, o gli istanti, in cui il genio dimentica di essere creatura terrena e prova commozioni ad altri negate, come allorchè, il 12 ottobre 1492, su una caravella si udì il grido «Terra! Terra!», e fu il miracolo che cambiò la storia del mondo.

Non di tutte quelle ore, o quei minuti, abbiamo documenti certi, ma sappiamo del turbamento eccelso che si impadronì di Galileo il 7 gennaio 1610, quando scoprì i satelliti di Giove, poi chiamati «pianeti medicei»; la notte del 10 novembre 1619, Cartesio ebbe improvvisa la rivelazione dei «fondamenti di una scienza mirabile» e quindi concepì il suo metodo di analisi e sintesi universale; hanno una data precisa che corrisponde all’ora delle stelle i primi esperimenti fortunati di Marconi il 28 marzo 1895, come l’hanno quelli di Herz e di Rontgen, o come quelli del 14 maggio 1796, quando Edward Jenner inoculò in un bambino il pus di vaiolo vaccino, e quelli di Fermi, Amaldi, Pontecorvo e Rasetti, o di Pierre e Marie Curie. Sono le emozioni esultanti ed esaltanti degli studiosi che hanno trovato l’uomo di Neandertal nella valle della Dussel, i dinosauri nel deserto del Tenerè, in Madagascar, in America del Sud, o di Lord Carnavon quando i suoi occhi estatici videro l’interno della tomba di Tutanchamon. Ebbene, fra questi uomini che hanno goduto dell’ora delle stelle possiamo comprendere Donald C. Johanson, direttore dell’Institute of Human Origins (Berkeley, California), e di questa sua ora magica si leggerà  a pag. 36 un resoconto vibrante.

Il racconto del professor Johanson è eccitante proprio là  dove narra come, percorrendo stancamente un sentiero nel Triangolo dell’Afar, per una ragione a lui sconosciuta, ha «gettato un’occhiata oltre la spalla destra» e ha scorto il primo frammento osseo dello scheletro di Lucy.

Nella Gà²a Dourada, oggi Panaji, che dal XVI secolo al 1961 fu colonia portoghese, vive Cristina Del Mare, giovane archeologa ed esploratrice che parla correttamente l’indi, ha studiato gli usi e costumi delle popolazioni del Gujarat e del Kutch (in sanscrito «spiaggia») nell’India nord-occidentale, illustrando con vivacità  anche le suggestive battaglie degli aquiloni (a pag. 96).

La più recente spedizione di Giancarlo Ligabue si è svolta nella provincia indonesiana della Nuova Guinea denominata Irian Jaya e meglio conosciuta come West Irian; e là , sugli altipiani centrali, in una «terra incognita», sono state studiate per la prima volta etnie pigmoidi raccolte in gruppi che allevano i maiali, si cibano di patate dolci e di taro. Di sorprendente interesse è il sistema economico di questi pigmei, che da tempo immemorabile si sono specializzati nella fabbricazione di asce e di coltelli di pietra, che poi «esportano» alle vicine tribù delle colline. L’articolo di Ligabue che ci fa conoscere quelle popolazioni – corredato dalle belle fotografie di Sergio Manzoni e J. J. Petter – è a pag. 24.

La teriaca, un elettuario ideato dal medico di Mitridate nel II secolo avanti Cristo come rimedio contro i veleni, è divenuta poi una specie di panacea universale. La teriaca di Venezia era esportata in tutta Europa, e la sua complicatissima preparazione è descritta a pag. 48 da Bruno Berti, un veneziano che lavora nell’ambito dell’ospedale Giustinian, che dedica molto del suo tempo libero a studi di paleontologia e a ricerche su monete antiche veneziane.

É probabile che gli amuleti siano nati quando il primo uomo ha incontrato il primo gatto nero e hanno mantenuto il loro potere apotropaico fino ai nostri giorni. Intorno alla scienza e alla magìa degli amuleti pubblichiamo a pag. 88 un brillante saggio di Guido Cafiero, fondatore della rivista «L’Ellisse», attento indagatore sui rapporti fra medicina e religione.

Dino Tonon è un veneziano laureato in filosofia delle religioni, giornalista dell’Ansa, studioso dilettante, ma serissimo, di antropologia, fotografo di qualità . Il suo articolo su un popolo fra i più poveri del mondo, quello dei Dogon, è a pag. 78, ed è illustrato con immagini colte da Sandra Savella e Piero Basaglia.

Chi subisce il fascino della montagna godrà  certamente nel leggere a pag. 106 una minuziosa ed elegante descrizione di quel paradiso della natura che è il Ruwenzori, raggiunto recentemente fino a quota seimila da Augusto Cosulich, un chirurgo veneziano che da due anni opera nell’ospedale di Kalongo in Uganda.

É consuetudine nel compilare una rivista cercare in un secondo tempo le illustrazioni adatte ad accompagnare un articolo, più raro è il caso contrario. Ma quando si viene in possesso di una serie di splendide fotografie di Falco Quilici, allora lo stesso autore di questa nota è ricorso ad antiche memorie e ai giuochi della fantasia per parlare, a pag. 68 , del «fascino» dei contrari.

Chissà ? Forse sotto il manto della Terra esistono altre civiltà  da scoprire: da pochi anni, grazie a scavatori clandestini, sappiamo che in Afghanistan, nel III millennio a. C., sono esistiti centri urbani in seguito studiati da archeologi sovietici e che hanno consentito il ritrovamento di reperti stupendi. Molti misteri di quella regione non sono stati ancora svelati, ma a pag. 56 se ne troverà  testimonianza avvincente. Il testo è di Sandro Salvatori, archeologo della Sovrintendenza ai Beni Ambientali Architettonici del Veneto, autore di importanti saggi su scavi compiuti in Turchia, Iran, Pakistan e Oman.

Caproni, un nome di cui si potrebbe dire con Virgilio fama super aethera notus: ebbene, l’articolo «Ali antiche su Venezia», a pag. 000, è proprio di Maria Fede Caproni, direttrice del Museo Aeronautico Caproni di Taliedo, consigliere A.I.A. e A.I.D.A.A.

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