Ligabue Magazine 73
Secondo semestre 2018
Anno XXXVII
Eccoci con una nuova avventura, un nuovo viaggio nello spazio e nel tempo attraverso le pagine di Ligabue Magazine. Questa volta si parte da una delle isole più estese del mondo, il Madagascar, e i suoi affascinanti riti funebri.
Incluso nel prezzo anche la versione digitale *
* Le versioni digitali dal n. 1 al 57 sono ottenute da una scansione del Magazine. Potrebbero pertanto presentare delle imperfezioni nella visualizzazione dei testi e delle immagini.
Giacomo Dei Rossi e Ranjatiana Randriantsara ci spiegano che per i malgasci la scomparsa di una persona cara non è legata alla sua morte fisica, ma all’uscita dai ricordi: soltanto quando più nessuno sarà in grado di ricordarla, anche a distanza di varie generazioni, quella persona potrà dirsi definitivamente morta. Qualcosa del genere accade anche con la nascita che non avviene al momento del parto, ma solo dopo essere stati riconosciuti dalla società come un essere umano completo.
Giorgio Manzi ci illustra come diventammo bipedi, ovvero quando alcuni primati abbandonarono l’andatura a forza di mani, che ancora oggi caratterizza gorilla e scimpanzé, per assumere quella bipede, unici fra i mammiferi. Avvenne in Africa quando i cambiamenti climatici diradarono le foreste che furono sostituite da savane. Per muoversi in questo ambiente non era più utile sapersi spostare da un albero a un altro, ma era meglio camminare eretti e possibilmente guardare lontano, in modo da scorgere in tempo l’approssimarsi dei predatori. Inoltre la locomozione doveva essere parsimoniosa, ovvero a basso dispendio di energia. Alzarsi in piedi e camminare eretti è risultata la soluzione migliore.
Ormai non ci sono più dubbi: la cultura del vino si è diffusa con la coltura della vite all’incirca nel 6000 a.C. sulle montagne del Medio Oriente, tra l’Anatolia, il Caucaso e l’Iran. Lo racconta Patrick E. McGovern, uno studioso «anfibio» tra due discipline, in quanto archeologo e chimico. É riuscito a ricostruire gli spostamenti del vino analizzando i resti organici rinvenuti all’interno delle anfore: una vera e propria linea che parte dal Caucaso, transita per la Grecia e Cartagine e arriva in Italia, gli Etruschi si occuperanno di trasportare la vite in Francia, nella zona di Montpellier. La conquista romana lo porterà nelle aree del Reno e del Rodano.
L’orario dei pasti non è sempre stato il medesimo e lo si è dilazionato in avanti per ragioni sociali: i ricchi volevano distinguersi dai poveri anche mangiando più tardi. Ce lo spiega Alessandro Barbero: il pranzo diventa colazione (seconda) e si sposta verso sera, ritardando ancora di più la cena che si inoltra nella notte. L’idea che pranzare così presto fosse una cosa da poveretti, e che pranzare più tardi fosse un segno di appartenenza all’alta società , appare in Inghilterra già all’inizio del Settecento.
Il canale di Suez ha un padre riconosciuto, il francese Ferdinand de Lesseps, e un padre misconosciuto, il trentino (e quindi suddito asburgico) Luigi Negrelli. Era stato proprio quest’ultimo, che ha ricoperto pure la carica di direttore generale delle ferrovie austriache, a progettare il canale. Ne racconta le vicende Michele Gottardi il quale sottolinea il ruolo avuto da altri italiani nella costruzione del canale di Suez, per esempio il banchiere triestino, nato veneziano, Pasquale Revoltella, come rappresentante asburgico nella Compagnie alla morte di Negrelli.
Una delle conseguenze ‘del tutto imprevista’ che l’apertura del canale di Suez ha comportato è stato l’arrivo nel Mediterraneo di specie ittiche proprie del mar Rosso e dell’oceano Indiano. Ne parla Luca Mizzan che illustra anche quali modifiche siano in corso nella fauna ittica della laguna veneziana, con la comparsa di pesci tipici delle coste rocciose, come le orate, e la diminuzione di pesci un tempo comuni sui fondali sabbiosi, per esempio le mormore. Tutto questo a causa delle scogliere artificiali create in appoggio del Mose, il sistema di paratie mobili che dovrebbe difendere la città di Venezia dalle acque alte.
I veneziani erano maestri nel tingere i tessuti di rosso: avevano imparato le procedure dai bizantini, ma dopo la IV crociata e la conquista di Costantinopoli nel 1204 si allontanano dal porpora per passare invece alla seta tinta con il cremisi e alla lana con lo scarlatto. Ce lo racconta Doretta Davanzo Poli che ci spiega anche come il rosso abbia assunto un valore politico. Soltanto le più alte cariche della Serenissima repubblica potevano indossare vesti e stole di velluto cremisi, il tessuto più ambito e prestigioso: doge, procuratori di San Marco, capitano generale da mar e pochi altri. Non aggiungo altro a questo punto, se non un caloroso buon viaggio!
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